Un uomo solo al bar

Oggi dopo un mese sono tornata nel bar che frequentavo prima di trasferirmi per rivedere i miei amici d’infanzia che nonostante non lo ammetta un po’ mi mancano.

Arrivo al bar e ancora non c’è nessuno, l’unico loro difetto che non cambia mai nel corso degli anni è che cascasse il mondo non sono mai in orario.

Prendo un caffè, basso con due bustine di zucchero lanciando un guanto di sfida al diabete, pago ed esco a fumare una sigaretta per ingannare il tempo.

Guardo il panorama e penso che Milan l’è un gran Milan ma l’aria che si respira qua è tutta un’altra storia, mentre faccio tutte queste riflessioni paesaggistiche scontate più delle camicette di Zara a Gennaio, si avvicina un vecchietto che conosco da anni molto bene, mi chiede come sto e dopo una serie di convenevoli inizia a raccontarmi la sua vita.

La vita di paese è così, un vortice di generazioni che si mescolano, persone anziane che vogliono raccontarti la loro storia, e troppi giovani che pensando non sia interessante li ignorano deridendoli.

Il signore si chiama Tedaldo, uno di quei nomi che nei primi anni venti nella campagna contadina toscana era di uso comune, un nome che odora di antico, un nome che rievoca grandi glorie del passato.

Per i giovani della zona il suo soprannome è Teddy, famoso sia per essere stato un grande donnaiolo sia perché quando ingrana la prima per uscire dal parcheggio del bar sfriziona rumorosamente e sia perché ogni macchina del paese è stata almeno una volta battezzata da lui.

E’ il giorno di Pasqua e mi chiedo perché sia solo al circolo di paese, la risposta mi arriva immediata come se per un attimo attraverso gli occhi mi avesse letto nella mente.

Mi racconta che sua moglie è morta, e che anche la sua nuova compagna è passata a miglior vita, mi racconta dei suoi figli che oramai grandi fanno la loro vita, dei suoi nipotini in giro per il mondo e della sua pensione da operaio che basta ma non avanza mai.

Ad un certo punto una lacrima sotto i suoi occhiali da sole Ray Ban modello Aviator di colore nero in netto contrasto con il personaggio, gli riga il volto e capisco che qualcosa non va.

Mi parla di una serenità che ha ritrovato dopo tanti anni, quella serenità che si acquisisce dopo decenni di lavoro, quella serenità che viene quando oramai ci si arrende alla vita e non la si vive forse più ma la si osserva solo sfumare a poco a poco sperando solamente che la morte non faccia troppo male.

Penso a quante ne dovrò ancora vedere per arrivare al suo grado di sapere ad alla sua consapevolezza, penso che dovrebbe esistere un’istituzione che per almeno un’ora al giorno si mette ad un tavolo ad ascoltare gli anziani che hanno vissuto cose a noi molto lontane e hanno solo voglia di raccontarle per far si che tutto quel sudore e quelle incazzature non siano state vane.

Tedaldo sta semplicemente parlando con una ragazza di 70 anni più giovane di lui seduto su una sedia di un bar,ma in realtà sta facendo molto altro. Sta cercando di lasciare in me una traccia del suo vissuto, sta cercando di dirmi che non mi devo scordare di lui come molti hanno fatto durante il corso della sua vita.

Ascolto questo uomo, piccolo ma solo di statura, con il viso segnato dal sole d’agosto che batte sui campi,incasso quel flusso di parole senza dire niente, perché non ha bisogno che io asserisca ad ogni parola, ha solo bisogno che lo ascolti e che gli faccia capire che in questo momento niente mi sta distraendo perché ritengo estremamente prezioso ciò che mi sta dicendo.

Mi ritrovo così a fissarlo ascoltando parola per parola ogni sua considerazione arrivando ad una soglia di attenzione pari ad un gruppo di teenager di fronte a Justin Bieber che canta.

Oggi è Pasqua,e tutti meritano una famiglia accanto, tutti meritano di sentire calore umano anche se magari non sono bravi nel darlo, e mi sento fortunata.

Mi sento fortunata perché non mi manca niente a livello affettivo e decido in questo giorno un po’ speciale di farmi grande, grande quanto tutta la famiglia di quest’uomo e decido di esserci per lui.

Non è una storia straordinaria, sono d’accordo, è solo una storia di una conversazione durata si e ne dieci minuti ma rimango colpita.

Rimango colpita nel vederlo per la prima volta spoglio da ogni corazza e rimango colpita dal fatto che non abbia paura di mostrarmi tutte le sue paure e mi sento onorata dal fatto che mi stia facendo partecipe della sua vita.

Sono sempre stata così, amo osservare, ascoltare e cercare di capire cosa passa nella testa della gente, forse mi prendo carico di un compito più grande di me, ma cerco nel mio piccolo di interpretare le persone che mi vivono intorno e di non sottovalutare niente ma caricare di significato ogni piccolo gesto mio e degli altri.

Arrivo così alla conclusione che bisognerebbe solo ridimensionare il nostro ego, capire che alle volte vale la pena fermarsi ed ascoltare gli altri senza che per questo ci sia un ritorno se non quello di un arricchimento personale.

Dicono che la sensibilità sia una condanna, io dico che la sensibilità sia semplicemente un dono che ti fa apprezzare cose che altri non vedono, ti fa capire cose che altri non capiscono, e ti fa provare sensazioni che altri mai arriveranno a provare.

Arrivano i miei amici e saluto il signore, in dieci minuti sono cresciuta e ringrazio i miei amici per non essere stati mai puntuali nella loro vita.